PERSONAGGI ILLUSTRI
Ezio Raimondi – Lizzano in Belvedere, 22 marzo 1924 – Bologna, 18 marzo 2014. Filologo, saggista e critico letterario italiano, svolse la sua attività accademica prevalentemente a Bologna, con molte incursioni negli U.S.A., dove si spese moltissimo per la diffusione della cultura italiana. Come critico letterario spaziò da Dante a Gadda, confrontandosi con molti grandi autori della letteratura italiana di ogni tempo (Machiavelli, Tasso, Manzoni, Serra, d’Annunzio), tentando una combinazione fra un rigoroso approccio filologico e i più moderni metodi interpretativi. Ricevette diversi riconoscimenti nell’arco della sua carriera: “Medaglia d’Oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte”, l’”Archiginnasio d’Oro” e infine il “Premio biennale Marino Moretti per la filologia, la storia e la critica nell’ambito della letteratura italiana dell’Otto e Novecento”. La sua fama lo portò a collaborare con le principali riviste italiane di storia e critica letteraria. Fino agli ultimi giorni diresse “Lingua e Stile” e “Intersezioni”.
Enzo Biagi – Pianaccio 9 agosto 1920 – Milano 6 novembre 2007. Giornalista e scrittore, fra i più popolari della storia italiana. Nato a Pianaccio, si trasferì presto a Bologna, dove intraprese con tenacia il suo percorso da giornalista, redigendo dapprima riviste studentesche. È il 1940 quando
finalmente Biagi riesce ad essere assunto dal Carlino Sera, ma la sua convinta indole antifascista iniziò presto a farsi evidente, costringendolo a una fuga verso quell’Appennino che gli aveva dato i natali. Qui Biagi sostenne e partecipò alla Resistenza, aderendo alle brigate “Giustizia e Libertà” legate al Partito d’Azione e redigendo Patrioti, rivista di contro-informazione partigiana che raccontava i reali accadimenti della guerra lungo la Linea Gotica. Quando le forze della resistenza emiliano-romagnola e le truppe alleate entrano a Bologna, nel 1945, fu la voce di Enzo Biagi ad annunciare alla radio locale l’avvenuta liberazione della Città. Nella sua carriera ha scritto per il Resto del Carlino, il Corriere della Sera, il Giornale, la Repubblica, benché la maggior fama a livello nazionale derivi dalle sue trasmissioni televisive, dai moltissimi titoli e formati, riguardanti tematiche di storia e attualità, a livello italiano e internazionale. La più famosa rimane probabilmente “Il Fatto”, che va in onda dal 1995 al 2002.
Oltre a questi aspetti che lo hanno fatto conoscere ed apprezzare in tutto il mondo, è giusto qui ricordare il profondo legame che aveva con il suo paese d’origine. Quando arrivava a Pianaccio era, e voleva sentirsi, semplicemente un paesano, non il grande giornalista, l’uomo famoso che aveva intervistato tutti i grandi della terra, ma solo un pianaccese che, come molti suoi compaesani, era andato via in cerca di fortuna. “In fondo questa è la nostra storia, di emigranti che hanno girato il mondo – ricordava –, soltanto che a me è andata meglio di altri”.
“Sono un uomo dei monti: mi piace la nebbia che fa sparire i costoni, le nuvole che scendono a un tratto. Se fossi cieco, capirei le ore ascoltando i rumori del bosco”. Ripeteva spesso mentre osservava dalla finestra di casa il profilo di quelle montagne che tanto amava e che lo hanno accolto il 6 novembre 2007 nel suo ultimo viaggio di ritorno al suo amato Pianaccio. A Pianaccio è stato allestito un Museo a lui dedicato.
CURIOSITA’ E LEGGENDE
Alcuni suggestivi luoghi dell’Appennino Tosco-Emiliano hanno generato leggende popolari, le cui origini derivano spesso da una forte devozione e dallo stretto rapporto fra uomo e natura che solo in montagna si può trovare. Il Naturale e il Divino sono due elementi che si confrontano nell’arco dei secoli passati, restituendoci un’immagine affascinante del medioevo appenninico.
LA LEGGENDA DEL BUE GUARITO (Porretta Terme)
Il mito fondatore dei poteri curativi delle acque di Porretta ci riporta allo sguardo pieno di stupore che l’uomo medioevale aveva nei confronti della natura e delle sue manifestazioni più straordinarie. La storia di Porretta è molto antica ed è collegata alla presenza delle acque curative le cui proprietà eccezionali (scientificamente riconosciute e certificate) vengono ben simboleggiate dalla leggenda del bue malato. Si narra, infatti, che un bue malato fu lasciato libero dal suo padrone, nel suo girovagare fra i boschi casualmente andò a dissetarsi in una delle fonti termali facendo ritorno a casa dopo alcuni giorni completamente guarito. Questo fatto diede avvio alla fama delle acque curative e medicali di Porretta Terme e ancora oggi, a distanza di secoli, il bue che si abbevera è rimasto a simbolo del Comune della straordinaria qualità delle sue acque termali.
Leggende a parte le terme di Porretta erano conosciute e frequentate fin dall’epoca romana, come testimoniano i numerosi rinvenimenti archeologici, in particolare quello del famoso mascherone raffigurante il muso di un leone, recuperato nel 1888 nel greto del Rio Maggiore e risalente al I sec. d.C. Proprio la presenza dei reperti archeologici rinvenuti nella zona circostante le sorgenti termali testimonia la notorietà delle acque di Porretta in epoca classica e la presenza fin da allora di un importante centro abitato.
IL SANTUARIO DEL FAGGIO (Porretta Terme)
Il santuario della Madonna del Faggio nacque, come molti altri santuari analoghi, dalla presenza di un’immagine della Madonna appesa prima ad un albero (appunto un faggio) e poi collocata in un pilastrino in muratura, collocazione che si fa risalire al 1670 circa, anno in cui cominciò a svilupparsi la devozione popolare anche per i miracoli che venivano attribuiti a quell’icona. La costruzione del Santuario vero e proprio è datata al 1722; inizialmente il suo nome era Madonna del Rio Scorticato, dalla località in cui era sorto. Esso si affermò fin dalle origini come importante centro di vita religiosa e di devozione. Dal 1756 iniziò una tradizione analoga a quella bolognese della Madonna di San Luca: una processione per portare l’immagine sacra dal Santuario fino a Castelluccio, e riportarla indietro il giorno dell’Ascensione, con la partecipazione sentitissima degli abitanti di Castelluccio, Capugnano e Monte Acuto. Lo stesso anno nacque anche la consuetudine di celebrare in questo luogo con una processione fino al faggio dell’apparizione, la Festa di Sant’Anna (il 26 Luglio), madre della Vergine, tradizione mantenuta fino ai giorni nostri. Nella prima metà del l’800 l’edificio vide vari ed importanti lavori con un notevole accrescimento degli interni e delle decorazioni, ad opera del pittore bolognese Lorenzo Pranzini. Nel 1837 si procedette alla costruzione del campanile, assieme al porticato, uno degli elementi architettonici più significativi del Santuario. Oltre all’ambiente naturale davvero straordinario, che fa di questo luogo un posto intimo, che induce naturalmente alla meditazione, ed alla grande notorietà regalatagli dal regista bolognese Pupi Avati che lo scelse per girare alcune delle scene del film “Una gita scolastica”, il Faggio è noto anche per un’altra caratteristica: la presenza del cosiddetto “romitto”, un eremita, che risiedendo da solo nel più completo isolamento nella piccola canonica retrostante il Santuario.
Il SANTUARIO DELLA MADONNA DELL’ACERO (Lizzano in Belvedere)
Anche il culto nato attorno al Santuario della Madonna dell’Acero ha origini nell’adorazione di un’immagine sacra posta in un contesto silvestre. Si narra che la Madonna apparve a due pastorelli salvandoli da una bufera di neve e ridonando, ad uno di loro, l’uso della parola. Siamo nel 1500 e la notizia dell’apparizione della Madonna si diffuse rapidamente di casa in casa, giù lungo la valle del Dardagna ed oltre, anche nel vicino crinale toscano. La devozione dei viandanti che percorrevano questi luoghi fu ben presto avvalorata anche dal racconto di altri prodigiosi miracoli tanto da spingerli ad edificare nel 1535 una prima cappella. Furono tagliati i rami dell’acero lasciando nel terreno solo il tronco che racchiudeva l’immagine sacra, attorno al quale gli abitanti del luogo vi costruirono una piccola cappella in pietra. Un secolo dopo, nel 1692, la costruzione aveva già assunto le sembianze attuali. Ciò che colpisce oggi visitando il Santuario è la semplicità e l’armonia di un edificio nato non certo dall’idea di un grande architetto bensì dalla devozione popolare che, pur nel suo stile rustico, ha conferito al complesso un aspetto naturale difficilmente riscontrabile altrove. Durante i mesi di apertura del Santuario (da maggio a ottobre), è possibile ammirare anche alcuni ex-voto, si tratta di tavolette in legno dipinte che, oltre a testimoniare un evento tragico risoltosi in modo apparentemente miracoloso, rappresentano una preziosa testimonianza storica sugli usi e sui costumi tipici dell’epoca. Accanto alle tavolette votive il santuario ospita anche un altro ex-voto di grande interesse e valore sia per l’episodio ricordato sia per lo stile scelto dal committente. Si tratta del gruppo di statue in legno di notevoli dimensioni commissionate in segno di ringraziamento da Brunetto Brunori, comandante delle milizie pisane miracolosamente scampato assieme alla famiglia alla battaglia di Gavivana (3 agosto 1530). Il 5 agosto dopo una fuga rocambolesca Brunetto, nonostante un colpo di lancia lo avesse trapassato da parte a parte, giunse al Santuario dell’Acero assieme alla moglie Lupa ed ai figli Leonetto e Nunziata e, in segno di ringraziamento, fece realizzare il gruppo di statue raffiguranti se stesso e la sua famiglia.
LA LEGGENDA DELL’OLIVA (Monte Belvedere – Lizzano in Belvedere)
Un misterioso solco a forma di croce nel quale non cresce mai l’erba. E’ il segno visibile, ed anche un po’ inquietante, di un’antica leggenda che si racconta nelle lunghe notti d’inverno a Lizzano in Belvedere. Il luogo è il cucuzzolo del Monte Belvedere, sopra Querciola, dove si narra che il diavolo avesse nascosto un tesoro all’interno del castello che vi sorgeva un tempo. Ed ancora che lo stesso diavolo fosse disposto a donare l’intero gruzzolo in cambio di una giovane donna incinta col nome di una pianta. Alcuni loschi figuri saputo che in una località vicina, chiamata “Diamberi“, abitava una donna incinta di nome Oliva, approfittando del fatto che il marito era impegnato a seccare le castagne sui vicini monti della Riva, decisero di rapire la sventurata per consegnarla al demonio. Nel tentativo di possedere la donna il diavolo si accorse però che la giovane donna indossava una piccola immagine della Madonna, inorridito la colpì facendola precipitare dalle mura del castello dove morì a braccia aperte formando un solco sul terreno, a forma di croce, dove, da allora, non cresce più l’erba. La cosa strana di questo racconto è che, come ogni leggenda che si rispetti, anche questa ha una sua precisa origine storica. Nell’archivio parrocchiale di Rocca Corneta è registrato infatti un atto nel quale risulta, il 14 novembre 1778, la morte di una tale Maria Oliva Crudeli, residente guarda caso ai Diamberi, deceduta durante l’assenza del marito impegnato al lavoro sui Monti della Riva, ritrovata morta proprio sulla vetta del Belvedere con indosso solamente un’immagine della Madonna. Purtroppo oggi il solco, visibile fino a qualche anno fa, è sparito completamente a causa dello smottamento del terreno che lo ha inghiottito per sempre dopo oltre trecento anni di presenza ininterrotta.
LA LEGGENDA DEL LAGO SCAFFAIOLO
Un minuscolo specchio d’acqua limpidissima e perenne placidamente adagiato lungo il crinale che separa il Tirreno dalla pianura Padana. E’ il lago Scaffaiolo, fra le cui tante particolarità, con i suoi 1750 metri di quota, c’è anche quella di essere il bacino naturale più alto dell’intera catena appenninica. Una serie di caratteristiche davvero uniche che, accompagnate dall’assoluta mancanza di pesci e di piante, hanno fatto nascere attorno a questo luogo un alone di mistero e di leggenda. Sono proprio queste particolarità che nel passato hanno alimentato tra la gente di montagna miti e leggende sul lago, nobilitate dalla penna del Boccaccio che, in un’opera poco nota De Montibus, silvis, fontibus et fluminibus apparsa a Firenze nel 1598, così lo descrive (riportiamo la citazione nella traduzione italiana dell’epoca): “Scaphagiolo lago piccolo è nell’Apenino: il quale tra la regione di Pistoia e Modona s’inalza, e più per miracolo che per la copia dell’acque memorabile: però (come danno testimonianze tutti gli habitatori) se alcuno da per se, over per sorte, sarà che gietti, una pietra o altra in quello, che l’acque mova, subitamente l’aere s’astrìnge in nebbia e nasce di venti tanta fierezza, che le quercie fortissime e li vetusti faggi vicini, e se spezzino o escansi dalle radici. Che potrò dir io degli animali, se alcuni ce ne sono, se gli alberi si rompono, e così la tempesta tutti i dì nemichcvole alquanto persevera?”.
Miti e leggende che alimentano la fantasia popolare. Si racconta, infatti, che il fondo del lago sia comunicante direttamente con l’inferno e che le anime dei dannati usino risalire fin sopra le sue acque per cercare sollievo nei rari momenti in cui è concesso loro un po’ di tregua dalle pene eterne. Per questo motivo, se una mano benedetta ha l’ardire di gettare una pietra nel lago, proprio in quel punto dove il fondo del piccolo invaso si apre sull’inferno, improvvisamente si scatenano terribili bufere capaci di sradicare querce centenarie, di sollevare onde spaventose e di lanciare sassi a grande distanza. Che, in realtà, sia una zona soggetta a repentini cambiamenti di tempo la sanno bene i tantissimi escursionisti che frequentano il crinale in ogni stagione, soprattutto d’inverno, quando il lago è battuto da improvvise bufere le quali, a volte, si scatenano con una violenza davvero inaudita.
Il nome del lago sembra derivi da “caffa”, termine con cui gli antichi montanari indicavano un avvallamento o una conca. Viene alimentato dalle acque piovane e dallo scioglimento delle nevi che confluisce nel lago e si conserva tutto l’anno anche per effetto delle temperature rigide e delle frequenti nebbie che limitano l’evaporazione. Assolutamente privo di pesci anche a causa delle dimensioni davvero modeste, 200 m di lunghezza e 80 m di larghezza Nelle immediate vicinanze del lago sorge anche il Rifugio Duca degli Abruzzi, il più antico rifugio dell’Appennino tosco – emiliano, inaugurato più di 130 anni fa; esattamente il 30 giugno 1878.